Parrocchia di Santa Lucia delle Spianate - Faenza RA

Storia della Parrocchia

Non è possibile parlare di Santa Lucia senza un rifermento alla vicina città di Faenza che data le sue radici già dal secondo secolo avanti Cristo. "FAVENTIA" deve la sua fondazione come centro urbano ben definito, nell'attuale sito, all'età romana. La Romagna all'arrivo dei Romani si presentava occupata da popolazioni celtiche caratterizzate dal loro popolamento sparso senza una struttura di tipo urbano. È con il tracciato della via Emilia a cura di M. Emilio Lepido nel 187 a.C. che ai bordi di questa nuova via di comunicazione sorgono le città ed è probabile che Faenza abbia la sua nascita nel secondo quarto del II secolo a.C. È facile ancor oggi individuare a valle della via Emilia quel reticolato di strade tipico della centuriazione romana che si perde quasi ai confine della zona di S. Lucia. Un motivo va trovato nella configurazione del terreno collinoso e forse anche nell'ipotesi di una precedente viabilità sottolineata soprattutto dalla via S. Lucia con una sua linea ben marcata e funzionale per la vallata della Samoggia. È questo un luogo importante per le cave dello "spungone" o "pietra della Samoggia": un calcare arenaceo che veniva usato per le fondamenta ed anche per le costruzioni. Ne avvalla la consuetudine un'iscrizione del XII secolo murata nella torre campanaria di S. Pietro in Vincoli, antico monastero camaldolese tra Forlì e Ravenna, che dice: "queste pietre sono state portate dalle parti di Faenza chiamata santa lusa". Secondo lo studioso di storia locale don Domenico Sgubbi nella nostra zona, avvicinandosi alla collina, c'erano molti alberi: un territorio immerso nel verde.

La notizia storica più attendibile della nostra zona è del 85 a.C. Nella lotta per il potere dell'impero fra Mario che appoggiava un'idea democratica e Silla, propugnatore di un'idea oligarchica, ci fu "la battaglia delle vigne", ancora oggi ben ricordata dai toponimi via della Vigne e via della Battaglia. Quei vigneti erano i nostri e furono coi loro arbusti di ostacolo ai cavalli: i partigiani di Silla ebbero la meglio.

Stele del seviroAltra notizia sicura è la lapide funeraria, chiamata "stele del seviro". Caius Pomponius Severus era un veterano della IV legio macedonica che divenne seviro a Faenza. La stele ora incastonata in una costruzione limitrofa alla Chiesa, vicino alla fontana, fu trovata nel 1914 durante gli scavi sul monte S. Ruffillo (localmente chiamato monte del prete, perché proprietà della Prebenda parrocchiale). Fu probabilmente fatta incidere attorno al primo anno dell'era cristiana da Sesto Fannio Spendone, proprietario della villa che sorgeva sulla vetta del monte S. Ruffillo. Sullo stesso monte gli scavi hanno portato alla luce anche i muri di una piccola cappella dedicata a S. Ruffillo, contornata da resti umani, vasi di terracotta, oggetti di metallo. Di chi sono? Potrebbero denotare la presenza di un ospizio oppure i segni di una battaglia fra faentini e ravennati per la conquista del castello di Castiglione che avvenne il 17 giugno 1145? I ravennati forti di un esercito di soldati provenienti dalle Marche, da Ferrara, da Verona e Cervia marciarono verso il contado faentino. Dopo aver abbattuto il campanile di Pieve Corleto si diressero verso S. Lucia nella spianata del Marzeno, ma i faentini andati alla riscossa riuscirono a cacciare gli invasori. Un'altra notizia certa è che il famoso Federico Barbarossa nella sua discesa in Italia del 1164 fu costretto dai faentini che non volevano onorare il suo passaggio a deviare il suo percorso verso S. Lucia. Una ventina d'anni dopo, nel 1185, l'esercito del Barbarossa, comandato da Bertoldo di Konigsberg, si accampò a S. Lucia per costringere con l'assedio i faentini a ritirarsi dalla Lega Lombarda, nata per difendere l'autonomia dei Comuni. Era infatti successo che l'Imperatore Federico Barbarossa, dopo la pace di Costanza, aveva concesso ai Comuni di avere sì un proprio governo, ma dovevano pagare tasse più gravose. Non avendo il denaro i capi faentini andarono a chiedere un aiuto ai signori feudali della Montagna. Al loro rifiuto i cittadini passarono ad atti intimidatori con la distruzione di messi e vigneti della vicina campagna. I Signori feudali si unirono e li scacciarono, ma le violenze proseguirono con danni a monasteri, ospedali e alla stessa Cattedrale. Intervenne il Vescovo con la scomunica per portare l'obbedienza alla Chiesa, ma occorreva anche risolvere la diatriba tra la nobiltà e così ecco la richiesta dell'intervento dell'imperatore. La Lega dei Comuni vinse e nel 1186 si fece la pace di Lodi.

La prima notizia dell'esistenza della Chiesa di S. Lucia la troviamo in un documento dell'Archivio arcivescovile di Ravenna: è del 14 agosto 1050. Di pochi decenni dopo è la presenza della Chiesa di S. Lucia anche in un documento dell'Archivio capitolare di Faenza, il 16 aprile 1099.
Il 10 luglio 1207 Santa Lucia delle Spianate passa al territorio della Pieve di S. Martino in Golfare, meglio nota come Montefortino. Il tutto è legalizzato dal territorio di Faenza con un atto di vendita.

1240-1241. In questo periodo sono in atto le crociate: Papa Gregorio IX vuole obbligare l'imperatore Federico II ad organizzare una spedizione nei luoghi sacri; in caso di rifiuto minaccia di scomunicarlo. Federico II, da abile politico, riesce ad averne il controllo attraverso accordi e invece di andare in Terra Santa comincia una conquista dei territori italiani, compreso il domino papale. È durante queste guerre di conquista che a S. Lucia avviene uno scontro d'armi e viene distrutto il convento dei canonici regolari di S. Martino in Poggio a destra del Marzeno, dove per tanto tempo si è trovata la fornace e ora un nuovo complesso residenziale. Dopo questi fatti l'imperatore fu scomunicato dal Papa.
Altra notizia dell'esistenza del luogo di culto è data dal fatto che il 18 dicembre 1301 il sacerdote Giovanni, rettore della Chiesa di S. Lucia in Piano, pagò 15 soldi bolognesi piccoli.

È del 1410 un interessante testamento: la figlia di Andrea Antonio Menghi dichiara nel testamento di lasciare soldi per la ristrutturazione della Chiesa di S. Lucia.
Primo settembre 1418 un certo Druda depone la prima pietra per una "scola" a S. Lucia (la parola non sembra indichi una scuola ma sia sinonimo di frazione) e dispone che la propria sepoltura avvenga all'interno della Chiesa di S. Lucia.
Altra notizia risalente al 1425-26: Francesco Arcolani, abate del Monastero di S. Giovanni Battista in Cereto, con il consenso dell'Abate di Fonteavellana concede la Chiesa di S. Lucia e le case vicine, che a quel tempo appartenevano al monastero, in malo stato per la vita misera della gente e del passaggio delle guerre, alle Monache Cistercensi perché le adibissero ad abitazioni.

Nella vita del beato Giacomo Filippo Bertoni (1454-1483) si legge che questi fu " procuratore" del Convento dei Servi di Maria negli anni 1478-79. Tra i "famigli", cioè gli uomini assunti per qualche mansione lavorativa figura un certo Polo che lavorava nelle terre del Convento di S. Lucia. Lo stesso Convento aveva alcuni appezzamenti di bosco e una "vigna da S. Lucia".
Nel 1506 Giulio II, eletto papa dopo Alessandro VI, nella sua lotta armata contro i signorotti legati a Papa Borgia, compreso il figlio Cesare, volendo cacciare i Bentivoglio da Bologna, passa dal territorio di S. Lucia, in quanto Faenza è in quel momento domino dei Veneziani.

È del 1536 una strana notizia di una usanza che ha il popolo, che vive nell'ignoranza e nella superstizione. Nel terzo giorno delle "Rogazioni", si porta in processione sulla via di S. Lucia l'effigie di un drago mostruoso, rappresentante il demonio, fino a una croce di marmo, detta "croce del drago", dove un Sacerdote getta l'effigie nelle mani dei ragazzi perché con zuffe e dispute sia ridotta in pezzi. Si apprende che diverse sono le processioni: nelle prime due il drago è portato davanti alla processione e rappresenta il tempo prima di Mosè e dopo Mosè quando dominava il demonio, nella terza il drago è portato dietro la processione e rappresenta il tempo di Cristo, dove il demonio è vinto. La notizia viene data non perché questa sia una novità, ma perché a seguito di questa usanza nel 1536 successe una vera zuffa che si portò anche in piazza del Duomo a Faenza e così il Governatore e i Magistrati, fatta sgomberare con la forza la Piazza, proibirono definitivamente la "processione del drago".

La prima Chiesa non era nel luogo dell'attuale. A portarla dov'è ora, secondo alcuni ricercatori sembra sia stato il Parroco don Francesco Fabbri nel 1565 circa. Pare però strano che pochi anni dopo nella visita pastorale a S. Lucia del 28 maggio 1573 Mons. Marchesini lasci al parroco don Francesco Fabbri questi obblighi scritti:

  • di risiedere in canonica
  • di ripulire ed abbellire la Chiesa
  • di far dipingere una cappella interna e la facciata.

Forse non era stata costruita una vera Chiesa, ma si era usato un edificio esistente? È certo che il nome della località "spianate" ("de splanata" come scrivono i documenti) è più avanti nell'attuale via Samoggia e in una casa colonica sono visibili ancora oggi, chiare tracce di culto religioso.
Veniamo anche a conoscenza che vicino alla Chiesa c'era uno "ospedale" per alloggiare i pellegrini.
Apprendiamo dalla relazione della visita pastorale di domenica 3 dicembre 1564 di Mons Sighicelli che tale "ospedale" era sotto la "cura della predetta Chiesa", che aveva un lascito di 9 pertiche di terra, che era stato fondato dalla famiglia "Bernardi", che un povero di detta famiglia vi abitava, che l'entrata era di due scudi all'anno.

Nell'archivio parrocchiale vi sono resoconti di varie "visite pastorali", ma ora ci limitiamo solo a quelle più recenti che riguardano soprattutto la Chiesa.
Nel 1922 usufruendo di una camera della canonica si costruisce una cappella laterale e così la superficie della Chiesa è di mt 16 x 6.
Solo un terzo della popolazione del 1924-25 può essere presente alle funzioni. Di quel periodo c'è la notizia che vengono intonacati i muri interni ed esterni, viene riparato il tetto ed il soffitto, nuove grondaie e docce. Il tutto per una spesa di 6300 lire.

Il registro dello "Stato patrimoniale ed economico della parrocchia" nel 1929 annota:

  • Stile della Chiesa: barocco risorgimentale
  • Confini della Chiesa:
    • facciata a est con sagrato e via S. Lucia prospiciente
    • viale del cimitero a sud
    • stalla ad ovest
    • canonica e forno a nord
  • La proprietà ha due poderi: " Casetto" e "Fondi di Santa Lucia"
  • La popolazione è di 1200 persone.

Veniamo a conoscenza che i battesimi in un anno sono in media 20, i matrimoni 6 e i morti 10. Il Parroco estensore di queste notizie è don Giovanni Bubani che scrive: "I muri della Chiesa sono vecchi e spiombati e mal confezionati che non si prestano a miglioramenti. Con gli ultimi restauri effettuati nel 1924-25 ha acquistato una certa decenza e stabilità. La chiesa ha bisogno di essere ampliata o meglio rifatta completamente come la stessa canonica, ma tutto ciò non è possibile in quanto il denaro scarseggia e le spese comporterebbero un totale di di £ 300.000"
Scrive ancora che "la Casa parrocchiale è stata ricostruita più volte senza gusto estetico e con una pessima statica" e ancora: "all'interno della Chiesa non ci sono oggetti preziosi, tranne il quadro della Beata Vergine del Rosario, realizzato dal Cignani verso la fine del 1600 o inizi 1700 ed è appunto da allora che si è istituita la pratica del Rosario".

 

LA NUOVA CHIESA (l'attuale)

Dallo scritto precedente si capisce che è intenzione del Parroco don Giovanni Bubani costruire una nuova Chiesa. Fa compilare un preventivo nel 1936, ma la costruzione non parte. La posa della prima pietra: mercoledì 3 maggio 1939 solenne cerimonia presieduta dal Vescovo Mons Antonio Scarante. Presenti il vice Podestà Masironi, il dott Giuseppe Zucchini e vari "signori" che hanno la Villa a S. Lucia.

La facciata della chiesa attualeUna lapide in marmo alla sinistra dell'altare, per chi entra in Chiesa, ricorda così il fatto:

PIOXII PONTIFICE MAXIMO
VICTORIO EMMANUELE III
ITALIAE ET ALBANIAE REGE
AETHIOPIAE IMPERATORE-
DUCE BEITO MUSSOLINI
IMPERII CONDITORE-ANTONIO
SCARANTE FAVENTINORUM
EPISCOPO-VINCENTIO BERTI
MUNICIPII MODERATORE JOAN-
NE BUBANI ARCHIPRESBYTERO
PRAEEUNTE -PIORUM CIVIUM
STIPE COLLATA-SACRIS DIVAE
LUCIAE VIRG. ET MART. AEDIBUS
ITERUM DITIUSQUE EXSTRUEN-
DIS-PETRA HAEIC PRIMA V
NONAS MAIAS ANNO POST
CHRISTUM NATUM MCMXXXIX
A FASCIBUS RESTITUTIS XVII
ALLEMNI RITU POSITA EST
A. M. VASSURA ARCHITECTO

CAMILLUS RIVALTA SCRIPSIT

 

I lavori coinvolgono i parrocchiani, che con carretti trasportano i materiali ed aiutano la ditta costruttrice "Pisotti e Bentini". Il Parroco sperava in aiuti consistenti da Enti e persone, ma così non è stato. Dal 1933 al '39 ha raccolto £ 15188,55. Ha avuto la somma di £ 5500 dalla signora Elvira Zauli per la cappella del Sacro cuore e £ 1500 dal Sig. Bucci Francesco per la cappella della Madonna, ma ora non ha più soldi e deve sospendere i lavori, come scrive su "Il nuovo Piccolo" il 3 settembre 1939. C'è il grezzo: mancano il soffitto, l'intonaco, le vetrate, gli altari, il pavimento, la balaustra, i gradini.

La Chiesa è a pianta latina a unico ambiente diviso longitudinalmente in tre campate di pilastri ad arco portanti il tetto a vista che forma crociera all'incontro del transetto. Il presbiterio con abside è sopraelevato di tre gradini dal piano della navata, coperto da volta ad arelle. Due cappelle laterali ricavate a capocroce del transetto, coperte pure queste da volte a botte ad arelle. Protiro a due colonne con arco, sopraelevato dal piano di campagna di due gradini. Battistero ricavato a lato della facciata in ambiente proprio e collegato con la Chiesa a mezzo di un vestibolo con entrata propria. Piccola camera ricavata a lato del presbitero per uso di sacrestia. Tutta la costruzione è prevista a mattoni a vista esternamente e negli archi e i pilastri portanti all'interno, il rimanente ad intonaco di calce.

DIMENSIONI: lunghezza mt 24, 90; larghezza mt 8, 40 (+ due cappelle) altezza mt 13
La costruzione fu inaugurata il 13 dicembre 1941, festa della patrona S. Lucia. Durante il secondo conflitto mondiale la Chiesa subì danni, ma fu riparata con il contributo dello Stato.

OGGI tante cose sono cambiate. Non esiste più uno spazio in ambiente proprio per il battistero fuori dalla Chiesa, ma solo una rientranza nella parete di sinistra in entrata dove è posto il battistero; l'altare maggiore, abbellito con marmi al tempo di don Ettore Ballardini, è stato demolito nel 1977 da don Giordano Mondini che ha rifatto a modo suo il presbiterio. Le due entrate laterali sono state chiuse. Le volte sono state oscurate da pannelli in cartongesso che riducono l'altezza a mt 9, 80, migliorando la potenzialità termica della struttura, ma togliendo completamente l'armonia della costruzione dell'architetto Vassura.
Il sagrato è stato limitato con aiuole e piante al tempo di don Giordano ed è stata creata una rampa per l'accesso alla Chiesa di portatori di handicap.

Il posto

La chiesa di S. Lucia è situata lungo l'omonima via che continua la discesa dal monte Trebbio e porta a Faenza e che lungo il percorso cambia più volte nome (Samoggia, Urbiano ecc.).
E' percorsa da tanti ciclisti, soprattutto faentini e forlivesi e non solo. Ha visto passare più volte gare di professionisti e il 24 maggio 2009 anche il Giro d'Italia che ha fatto tappa a Faenza

In questi ultimi anni la frazione si è arricchita di un villaggio di un centinaio di abitazioni.
E' bello vedere la Chiesa immersa nel verde delle stagioni e nella fioritura dei peschi.

Don Giordano (parroco dal 1976 al 2007), artista e fotografo, ha immortalato sulla pellicola coreografie da lui ideate e realizzate in vari momenti della vita parrocchiale, soprattutto nel mese di dicembre, quando al 13 c'è la festa di S. Lucia e il tempo natalizio.

 

La porta

La porta

Nel 1982 è stata rifatta e rinforzata la porta di entrata della Chiesa ed è stata abbellita con pannelli in ceramica legati al tema della luce. Il ceramista è stato Edo Bianchedi. I pannelli principali sono contornati da pannelli più piccoli in ceramica con fregi decorativi a tema di foglie e grappoli d'uva.

Questa la legenda dei pannelli a partire dall'alto verso il basso:
- a sinistra in alto la Creazione della donna (Gen2,22)
- a destra il Battesimo di Gesù ( Mc 1,11)
- sotto a sinistra la Guarigione del cieco (Mc 8,22-26)
- a destra la Trasfigurazione (Mc 9,2-8)
- ancora sotto a sinistra la Natività (Lc 2,7)
- a destra S. Lucia
- in basso a sinistra le Vergini prudenti e le stolte (Mt 25,7-10)
- a destra Conversione di S. Paolo (At 9)

TamburoAnche nel “tamburo” di entrata sulla parte interna sono affisse tavole di bozzetto degli ultimi momenti di vita di S. Lucia: il giudizio, resiste alla violenza di volerla portare al lupanare, il martirio.
Anche queste sono opera di Edo Bianchedi.

Interno della Chiesa
La Chiesa è a una sola navata con due cappelle laterali: a destra per chi entra la cappella della Madonna, a sinistra la cappella del Sacro Cuore.

 

 

Troviamo le seguenti statue nella cappella del Sacro Cuore:
- la statua di S. Lucia ora posta in alto sopra l'altare;
- sull'altare la statua di S. Martino Vescovo, proveniente dalla Chiesa di Montefortino;
- la statua del Sacro Cuore, ora su piedistallo al lato destro;
- la statua di S. Antonio abate su piedistallo al lato sinistro.
Nella stessa cappella sono affissi i quadri di S. Luigi Gonzaga e S. Girolamo.

 

 

 

Nella parete destra per chi entra, a metà navata, il quadro di S. Lucia.

 

Nella cappella della Madonna il quadro di Madonna con bambino, opera di Cignani.

 

 

In una rientranza della Chiesa al tempo dell'arciprete Bubani fu costruita una cappella che ricorda le apparizioni della  Madonna a Lourdes.

 

Nel 1977 venne demolito l'altare esistente e costruita nel presbiterio una struttura in metallo elevata con due “gradoni” dal piano del calpestio, pavimentata in legno trucciolato, verniciato di colore viola che veniva ricoperto in base al tempo liturgico con moquette verde o rossa. Anche l'abside era ricoperta fino all'altezza di oltre 2 metri con teli intonati al tempo liturgico.
Mons. Vescovo ha chiesto di rendere la struttura del presbiterio conforme alle norme liturgiche e l'attuale Parroco ha affidato il progetto all'architetto Pier Giorgio Gualdrini. Il progetto è stato presentato alla Commissione diocesana di arte sacra e ora siamo in attesa della risposta.

La croce di Santa Lucia

Lungo la via S. Lucia in prossimità della Chiesa dal lato opposto c'è, di pietra spungone, un croce greca su un cippo infossato. E' descritta alla scheda n.11 del libro di Patrizia Capitanio “sulle vie del medioevo CROCI VIARIE DEL TERRITORIO DI FAENZA” edito da Carta Bianca.
Si deduce dall lettura che il manufatto potrebbe risalire all' XI-XII secolo.

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Le campane di Santa Lucia

Nell’archivio di s Lucia  abbiamo rinvenuto il seguente appunto di Don Giordano in merito alle campane:

“grossa “: ARC BUBANI  DON GIOVANNI
fece fondere questa campana nel 1923 dalla fonderia Pasqualini di Fermo
rifusa nel 1953

“mezzanella”: ANTONIUS UTILI  fundendum curavit A.D. MDCCCXXXVI
( nel foglietto è scritto :”resta”. Si può ritenere che questa campana sia rimasta)

altra campana.
DON SIMONE UTILI FECE FONDERE nell’anno di grazia 1861
Rifusa nel 1953

Piccola :
CAESAR BRIGHENTI BONONIA FUNDIT
Don Giovanni Bubani 1923

Nel 2003 le campane sono state sistemate e automatizzate. La scheda della DITTA CAPANNI che ha eseguito il lavoro ci dice che due campane ( le più grosse) sono state fuse  nuove , le altre erano esistenti , ma si può ritenere che solo quella con la scritta “resta” sia realmente  la preesistente all’intervento . Non sappiamo da dove provengano le altre due

.Questo lo specchietto della ditta Capanni :
 
NUOVA CAMPANA  DO diametro mm 720 peso kg 210
NUOVA CAMPANA RE   “              “   640  “        “ 162 
ESISTENTE  MI   “              “   570   “        “ 105
ESISTENTE                      FA           “              “   546  “         “ 85
ESISTENTE       SOL         “              “   480  “         “ 60
L’ordine del lavoro da eseguire è del 31 luglio 2003 ed il certificato di conformità porta la data del 31 dicembre 2003

In merito alla fusione delle nuove campane scrivono “ Le campane vengono fuse con il tradizionale  metodo a cera persa proprio delle lavorazioni artistiche. La fusione si effettua secondo una tradizione secolare  che permette di ottenere dal bronzo il massimo rendimento armonico” . Si precisa che la lega sarà composta  per il 78% di rame e per il 22% di stagno

Che cosa c'è scritto sulle singole campane oggi presenti sulla cella campanaria

La campana in DO

E' dedicata a S. Lucia M.M.
Porta  scritto il nome  dell'offerente: Don Giordano Mondini Arciprete AD. 2003
Ha le seguenti figure nei diversi lati : S.Lucia, S.Andrea, S. Marco, il crocefisso

La campana in RE ( è la campana che batte  le ore e mezz'ora dell'orologio)

E' dedicata al Sacro cuore di Gesù
Porta scritto il nome dell'offerente: Don Giordano Mondini Arciprete AD.2003
Ha le seguenti figure  nei diversi lati : S.Cuore,S.Martino,Ostensorio,figura di Vescovo

La campana in MI

Porta la scritta :Antonius Utili 1886 fundendum curavit
In un lato Clemens Brighenti  , Bonon. Fudit
Ha le immagini di Maria con Bambino e il crocefisso

La campana in FA

Porta la scritta :Pietro Colbacchini , Bassano del Grappa di M.Favaretto brevetto pontificio e vescovile
Lo stemma con sotto scritto “Ius Iustitiae Pax”
Ha le immagini di : Madonna , s.Marco. S.Giuseppe, Crocefisso. E ancora la scritta :”Ablatum tempore belli 1941-44 restitutm publico sumptu 1950”

La campana in SOL

Porta la scritta G.B.CARAPIA PRIORE
Ha le immagini del crocefisso , di un santo con la palma del martirio e una corona con  sotto le lettere MA

Sembra giusto ritenere che due siano le campane nuove, una preesistente e due che provengono da altre Chiese. Montefortino? Non sappiamo! 

La parrocchia di Urbiano

La prima attestazione della località “URBIGLIANO” è del 1075. Al 1256 risale la prima memoria della “Ecclesia de Urbigliano “ Nel 1371 Urbiano veniva censita assieme a Villanova  , Montefortino e s Maria in valle, che costituivano un'unica “villa”, di 36 case .L'inventario del 1571, il più antico ritrovato , cita dei beni stabili della Chiesa. In quel periodo nella parrocchia di Urbiano abitavano 140 persone . Nel 1619 il secondo altare fu dedicato al Santo Rosario. L'inventario del 1715 attesta la presenza sopra questo altare di un quadro di tela , che rappresenta la Beata Vergine con il Bambin Gesù la quale porge il rosario a s. .Domenico e PioV .L'immagine fu dipinta intorno al 1600 dal faentino Giovanni Battista Bertucci iunior, mentre i quadretti della cornice indicanti i “misteri” furono realizzati da un pittore minore. Lo stesso inventario ricorda che in una nicchia dell'altare maggiore vi era un'immagine della Beata Vergine Assunta , titolare della Chiesa. La Parrocchia di s. Pietro in Villanova fu probabilmente soppressa intorno al 1663 e unita a s.Maria in Urbiano. Nel 1926 fu affidata ad Urbiano anche la cura parrocchiale di s.Maria in valle. Dall'inventario del 1908 si capisce che un terzo altare era stato dedicato al Sacro Cuore . Nel 1934 , in occasione di una visita pastorale , nella Parrocchia c'erano 47 famiglie per un totale di 372 persone. La Chiesa di Urbiano fu oggetto di ricostruzioni e restauri in diverse date, a causa di terremoti  e scarsa stabilità del terreno. Nel cimitero di Urbiano, al centro ,  è posta una croce viaria in pietra spungone di forma greca, probabilmente risalente all' XI-XII secolo .La collocazione originaria non corrispondeva a quella attuale , probabilmente si trovava sulla via principale ai piedi dell'attuale Chiesa di Urbiano e aveva una funzione di indicazione di luogo di culto ai pellegrini.
La Parrocchia fu soppressa negli anni '80 e aggregata a S.Lucia.

a cura della prof. Anna Zauli

La parrocchia di Montefortino

Si è parlato della Chiesa di Montefortino costruita nel dopoguerra lungo la via Samoggia, edificio ora non adibito a culto ed alienato, costruzione che all'esterno ha ancora la foggia di Chiesa.  Il precedente edificio di culto , più volte rimaneggiato, era l'antica Pieve della zona , già presente prima dell'anno 1000, non era lungo la via Samoggia , ma sulla sovrastante collina , ora via s.Mamante ,dove rimane una croce in pietra a ricordo del giubileo del 1925 ( sulla croce si legge la data 1926, forse perchè posta in quell'anno a fine giubileo)  A sentire alcune testimonianze  si deduce che la costruzione era a un'ottantina di metri dalla croce e che le macerie furono convogliate nella vicina scarpata in modo da permettere verso Converselle  la prosecuzione della strada che allora  terminava proprio alla Chiesa. Esiste in archivio a s. Lucia le motivazioni della scelta del nuovo sito con considerazioni , scritte da don Giovanni Bubani, che riguardano la consistenza delle Parrocchie di s.Lucia, Montefortino e Urbiano.
Terribili furono quei giorni del novembre 1944 che videro una agguerritissima battaglia fra l'esercito tedesco e quello degli alleati. Si prendono le notizie dalla testimonianza di Domenica Timoncini , nipote dell'allora Parroco di s.Biagio raccolta nel libro “Faenza 1944: quei giorni di fuoco e di morte” , uscito a cura di G Bettoli, E. Casadio ,A.Frontali , M.Valli da Stefano Casanova editore  (2005).
Si legge che già mentre infuriavano i bombardamenti in pianura nel mese di agosto molti , compresa
la signora Domenica,  ritennero più sicura la zona di Montefortino. Assieme ad altri lei e una zia ottennero ospitalità dall'Arciprete don  Giuseppe Rotondi, allora trentunenne. Passarono abbastanza bene i mesi di agosto , settembre e ottobre. I primi tedeschi li videro il 10 novembre : senza dir niente andarono in Chiesa e rubarono le candele ; poi arrivarono gli altri “ tanti soldati con muli , carrette . Con loro arrivarono anche le bombe degli alleati che colpirono prima la canonica di Montefortino e poi anche la Chiesa. Tanti i rifugiati nella cantina dell'Arciprete , mentre quel che rimaneva della casa era occupato dai tedeschi .In una notte d'inferno ,il 17 novembre , arrivarono gli alleati alle 3,30  . Purtroppo la festa durò poco alle 18,30 tornarono i tedeschi, che mandarono via tutti da Montefortino . Le vicende della testimone continuano e la sua descrizione segue il suo peregrinare assieme alla zia alla ricerca di un posto sicuro, con due  ferite ad una gamba   e la difficoltà delle cure e la lenta guarigione . Della costruzione della Chiesa non rimangono altro che ruderi . Colpite,ma riparate coi danni di guerra furono anche le vicine Chiese di Oriolo ,
S Mamante, S Biagio e s.Lucia. Per quanto riguarda s.Lucia si apprende  dal libro
“La ricostruzione nella Diocesi di Faenza” edito in occasione dei 25 anni di ministero episcopale di S.E.Rev.ma Mons dott Giuseppe Battaglia (Faenza 1968) , che la Chiesa,canonica, campanile e sede opere parrocchiali furono riparate per danni di guerra in due lotti (1958,1961) dalle ditte edili Luigi Scala di Faenza  -Mario Mignan di Faenza -Anselmo e Glauco Ragazzini di Faenza . Le campane furono fuse dalla Ditta Pasqualini di Fermo nel 1953.
 
La Nuova Chiesa  di Montefortino fu costruita sul terreno donato dal Conte Emiliani Francesco. In archivio di s Lucia  esiste la vacchetta delle Messe che furono imperate a seguito di questa donazione.
L'arciprete di Montefortino così scrive in apertura della vacchetta il 1 gennaio 1949:

Anno 1949
Con decreto vescovile in data 22-XII-1948 col 1° gennaio 1949 si è costituita la Nuova Parrocchia di Montefortino in Samoggia con una nuova Chiesa e Canonica.Il terreno per la nuova costruzione è stato donato dal Conte Emiliani Francesco in ricordo della madre contessa Zauli.
Per questa donazione alla presenza di Sua Eccellenza Mons Vescovo Giuseppe Battaglia , dell'arciprete don Giuseppe Rotondi , del conte Luigi Zauli, zio, e del conte Francesco Emiliani, a voce ed accettato, si impose un obbligo di dodici s. Messe annue sul beneficio parrocchiale di Montefortino.
Così è nato  il legato Francesco Emiliani
In fede don Giuseppe Rotondi Arciprete di Montefortino

Storia di Montefortino

La prima memoria della pieve di S. Martino in Montefortino, nella diocesi di Faenza, risale all’anno 892. Questa è l’unica pieve della diocesi faentina dedicata a S. Martino.
Fu una delle chiese donate con i loro beni e ragioni da Paolo Vescovo di Faenza al Capitolo dei Canonici, da lui stesso fondato nella sua cattedrale circa l’anno 920.
Nel 1143, la bolla di Papa Celestino II comprese questa pieve fra le dipendenze della chiesa faentina.
Nel dodicesimo secolo fu soggetta al vicino Castello di Oriolo. Eccone le parole: “anno 1180, Sancti Martini Plebs in Curte Aureoli”.
Nelle “Rationes Decimarum” del 1291, la pieve comprendeva 6 chiese: S. Lucia delle Spianate (S. Luxe in plano), S. Rufillo in Monte S. Luxe, S. Biagio in Collina (S. Biagio de Colonada), S. Apollinare in Oriolo (S. Apollinare de Auriolo), S. Maria in Oriolo (S. Maria de Auriolo), S. Maria de Giurano.
A quel tempo era rettore della pieve l’arciprete Don Egidio.
Era denominata S. Martino in Golfara, poiché il monte su cui era edificata la chiesa comprendeva anche quello che gli stava a tergo e faceva parte del Granducato di Toscana, è evidente, che le chiese portavano generalmente il nome del fondo, sopra cui erano erette e che ogni fondo comprendeva una vastissima porzione di terreno, quindi per conseguenza, del fondo Golfara dovevano far parte ambedue gli accennati monti.
In seguito a questa Pieve fu dato il nome di Montefortino, che derivò al luogo e alla chiesa per avere costruito i Faentini un fortilizio a non molta distanza per tutelare i loro confini, distrutto nel 1251.
In una memoria del faentino Don Andrea Zannoni si legge che il fortilizio era composto da una torre circolare, posta in mezzo a due cortine merlate, che riunendosi a ponente in figura quadrata, comprendevano un’area fornita di fabbriche, delle quali, assieme alle mura esterne, si scorgevano sufficienti resti ancora alla metà del secolo XVII, periodo in cui la predetta memoria fu estesa dall’arciprete Don Sergiani e che serviva di preambolo alle notizie della sua chiesa da lui stesso raccolte. Ma poiché quell’unico foglio era stracciato, così dal brano rimasto appare solamente come il fortilizio fosse guardato nei soli tempi di guerra o di politici timori, da un Conte stabile con dodici paghe, ossia da un Capitano con dodici soldati.
Sembra che quella rocca fosse innalzata a levante della chiesa presso la vigna arcipretale, dove a pochi piedi sottoterra, essendo arciprete Don Paolo Lama, si rinvennero fondamenta di grosse mura, libbre 70 di piombo in pezzi e una certa quantità di denaro, che il contadino, scoprendola, tenne per sé.
Il castello sorgeva in una posizione favorevole per il controllo dei passi che dal territorio faentino portavano in Toscana, di esso non sono rimasti ruderi, attorno al 1960 furono tolte le ultime fondamenta consistenti in blocchi di pietra.
Nel 1371, la “Descriptio Romandiole” del Cardinale Anglico cita “Villa Villanova et Montefortini” e nella riga seguente “Villa Urbigliani et Vallis”, è chiaro che a quei tempi Villanova formava un solo territorio con Montefortino, le famiglie erano 36 e gli abitanti 216.
Villanova era un villaggio, che si trovava nella collina di fronte a Montefortino e al di là del Rio Samoggia, dove ancora oggi si trova una casa colonica, che con l’annesso possedimento è detta Villanova.
Nella visita apostolica del legato Marchesini, del 1573, si rinvenne il SS. Sacramento dentro una pisside di argento, racchiusa in un’altra di legno dipinta di nuovo, conservata in un tabernacolo di legno noce, con canopeo di seta.
Il fonte battesimale, novus de gipso albo fabricatus, si fece trasportare dall’angolo inferiore della chiesa, a destra di chi entrava, all’angolo opposto, inoltre il rettore stesso, di sua spontanea volontà, promise di farne costruire un altro di pietra migliore, di forma rotonda. L’Altare Maggiore era tutto di pietra, ornato con un’icona, dei candelabri e due palii, uno dorato e l’altro di tela dipinta con l’immagine di S. Martino, in un angolo della chiesa stava anche un piccolo Altare, ma fu ingiunto di demolirlo.
Fu ordinato al rettore di provvedere di un crocifisso da tenere esposto in chiesa e di un confessionale, di chiudere l’usciolo, che conduceva nella casa dei contadini contigua la chiesa, di restaurare e ridipingere la volta sopra l’Altare e di compilare il libro delle cresime e lo stato delle anime.
Il cimitero in prossimità della chiesa era uno dei pochi ben chiusi e custoditi.
Nel 1661, la chiesa crollò interamente a causa del terremoto, l’anno successivo non era ancora stata restaurata, solo nel 1663 fu ricostruita.
Un’altra chiesetta esisteva in questo pieve, un miglio circa al di sotto della matrice ed era intitolata alla Madonna delle Grazie, titolo conservato dalla casa colonica, sostituita alla predetta chiesuola e che faceva parte con l’annesso podere della prebenda arcipretale.
Esisteva anche un pubblico oratorio, dedicato a S. Maria Assunta in Cielo, a cui era annesso il beneficio semplice di quel titolo, eretto dopo il Sinodo Rossetti, di giuspatronato della nobile famiglia dei Conti Zauli Naldi.
Esso era fabbricata presso l’antico Palazzo Zauli, poi convertito in casa colonica. Di là trasse origine quell’illustra famiglia, trapiantata poi a Faenza.
La chiesa di S. Martino in Montefortino possedeva 50 tornature di terra, tutte lavorative, unite in un solo corpo, ma danneggiate dall’acqua, per la quale di quando in quando in gran parte andavano franando.
Possedeva pure un pezzo di terra spoglia di 2 tornature circa, nel Granducato di Toscana, nel territorio di Castrocaro e inoltre un piccolo podere denominato Madonna delle Grazie, posto sul territorio di Faenza, con tornature 5 di terra lavorativa ed una selva di tornature 2.
La casa del suddetto podere, come già citato, era stata in passato la chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie, la quale fu poi soppressa e ne fu trasportato alla pieve l’Altare dall’arciprete Grazioli con il permesso e decreto del Vescovo monsignor Antonio Cantoni, nell’anno dell’ultima sua visita pastorale.
Nel 1852, secondo le memorie storiche del canonico Girolamo Tassinari da Faenza, gli abitanti erano 84 e le case 13: Campo rotondo, Madonna delle Grazie, Collina, Morattina, Accarisi, Cà dei Fucci, Busca, Casara, Pantera, Palazzo Zauli, Scanno, Montefortino di Sopra o casa del fattore dei Conti Zauli, Montefortino di Sotto o Pieve.
Il 27 novembre 1904, fu fondata la Pia Unione del Sacro Cuore di Gesù e dell’Abitino Ceruleo della B.V Immacolata, durante la S. Missione, che si tenne a Montefortino, in occasione del 50° anniversario della proclamazione del dogma dell’Immacolata. Don Giovanni Bubani ne fu l’ideatore.
In quel momento fra le opere d’arte, si elencavano: due quadri in tela con cornice dorata, uno di S. Martino e uno di S. Filippo Neri, un quadro ad oleografia rappresentante la Sacra Famiglia, una statua di S. Antonio abate e una di S. Vincenzo Ferreri; quella di S. Antonio fu acquisita da Don Guglielmo Graziani, in occasione del suo venticinquesimo anniversario di ordinazione alla fine del 1890 e che lasciò alla chiesa in suo ricordo; un quadro, tavola in legno, raffigurante S. Giovanni
Battista in atto di battezzare Cristo nel fiume Giordano; due statuette di Gesù, pregiato lavoro in terracotta di un artista brisighellese, denominato il Mutino; una statua di Maria; una statua del Sacro Cuore di Gesù, regalata alla chiesa, in occasione della festa solenne di ringraziamento per il ritorno dalla prima guerra mondiale di quasi tutti i soldati della parrocchia; due campane nuove del peso di 108 kg, regalate pure alla chiesa da Don Giovanni Bubani, in occasione della suddetta festa, celebrata con s. Missione del 1 gennaio 1920.
La maggiore di dette campane fu fusa ad onore del Sacro Cuore di Gesù, ad eternare il fatto del ritorno di tutti i soldati dalla guerra e portava questa iscrizione:
Qod a teterrimo bello omnes milites incolumnes redierunt Joannes Bubani archipresbiter in honorem SS. Cordis Jesu memoriae et grati animi ergo fundendum curavit anno MCMXIX
La seconda era dedicata a S. Maria e a S. Martino Vescovo, recava l’inscrizione:
Joannes arch. Bubani fundavit anno MCMXIX
Un quadro della B. V di un certo valore, creduta della scuola di Giotto, era ben custodito.
Nel 1937, durante la visita pastorale del Vescovo monsignore Antonio Scarante, visitando l’intera chiesa, il Vescovo esortò l’arciprete a volere mantenere la buona custodia della bella tavola rappresentante la B.V, essendo essa di buona pittura.
Durante la seconda guerra mondiale, in seguito a bombardamenti, la chiesa fu distrutta e l'Arciprete Don Giuseppe Rotondi dovette trasferirsi con gli sfollati nella chiesa di Converselle e poi a S. Mamante.
Infatti per potere avanzare lungo la via Emilia, verso Faenza, il 5° Corpo inglese doveva dominare anche le colline sovrastanti, perciò fu affidato il compito di conquistarle alla 46ª Divisone britannica e al 2° Corpo polacco.
I Polacchi avevano l’ordine di procedere lungo la linea che da Castrocaro arrivava a S. Lucia delle Spianate, ma il fulcro difensivo tedesco era posto nell’area tra Converselle e Montefortino.
Poco dopo la mezzanotte del 17 novembre 1944 i polacchi della 3ª Divisione Carpatica conquistarono Montefortino.
Nel pomeriggio del giorno dopo, la fanteria tedesca con alcuni carri armati lanciò il contrattacco per riguadagnare la posizione.
Dopo un breve, ma violento scontro i Polacchi dovettero retrocedere a Converselle, anche se continuarono a colpire le postazioni tedesche con l’artiglieria e con i cacciabombardieri.
Poco prima dell’alba del 21 novembre 1944 iniziò il contrattacco polacco e i tedeschi, che erano a Montefortino, dopo avere terminato le munizioni, si dovettero arrendere.
Il giorno dopo, la battaglia riprese e i tedeschi non riuscirono a mantenere le loro posizioni, perciò si ritirarono verso S. Lucia delle Spianate e Monte Ricci.
Un diario di guerra, scritto da Don Giuseppe Rotondi, su una vacchetta che lui aveva portato con sé all’Istituto di S. Umiltà, come ricordo del suo ministero alla guida della parrocchia di Montefortino, esprime molto bene come furono quei giorni di combattimenti, in cui la località si guadagnò il nome di piccola Cassino:

Diario di guerra

01 novembre: prime cannonate attorno a Montefortino
02 novembre: sempre cannonate
03 novembre: sempre cannonate
04 novembre: in cortile cannonate
05 novembre: pericolo
06 novembre: cannonate e tedeschi per lavori
07 novembre: cannonate più vicine
08 novembre: tedeschi in casa
09 novembre: coi tedeschi Croce Rossa
10 novembre: coi tedeschi
11 novembre: tedeschi, una sola Messa e poi chiesa bombardata
12 novembre: tedeschi, granate sull’Altare
13 novembre: tedeschi, feriti e un morto, in cantina
14 novembre: tedeschi, in cantina
15 novembre: tedeschi, in cantina
16 novembre: tedeschi feriti e morti, in cantina, Messa per tutti i rifugiati a Montefortino Pieve
17 novembre: ore 3.30 I venuta dei polacchi, ore 18 ritorno dei tedeschi, Montefortino in fiamme, noi fuggiti a S. Mamante
18 novembre: S. Mamante
19 novembre: S. Mamante
20 novembre: ore 12 fuggiti da S. Mamante, ore 18 trovata ospitalità a casa Capanna
21 novembre: ore 11.30 II venuta dei polacchi, ritorniamo a Montefortino, in cantina a Converselle
22 novembre: a Montefortino tutto distrutto e bruciato
23 novembre: a Montefortino si recupera qualcosa
24 novembre: a Montefortino si recupera qualcosa, in cantina a Converselle
25 novembre: a Montefortino si recupera qualcosa, in cantina a Converselle
26 novembre: a Montefortino si recupera qualcosa, in cantina a Converselle
27 novembre: a Converselle, alla cerca a Montefortino
28 novembre: a Converselle, alla cerca
29 novembre: a Converselle, alla cerca
30 novembre: a Converselle, alla cerca
01 dicembre: a Converselle, alla cerca a S. Mamante
02 dicembre: a Converselle, alla cerca a S. Mamante
03 dicembre: casa Capanna, ore 10 in questa casa Chiesa per Montefortino e S. Mamante
05/03/1945 – mandati a Pieve Corleto
04/06/1945 – sistemati nella scuola di Samoggia
01/06/1946 – inviati a Casa Ramona di S. Mamante
01/06/1948 – stabiliti nella canonica di Samoggia
Le cresime del 15/09/1945 e del 06/10/1946 furono celebrate nella scuola di Montefortino.


Con decreto Vescovile del 01/01/1949 la chiesa di S. Martino in Montefortino fu ricostruita a valle, presso il fiume Samoggia, in un terreno donato dal Conte Francesco Emiliani per esaudire la volontà della madre, Contessa Maria Zauli Naldi e fu ampliata con 44 case, provenienti da Urbiano, S. Lucia delle Spianate e S. Mamante, raggiungendo così una popolazione di 400 individui, ma dal 1959 per il noto esodo dalla montagna, la zona andò spopolandosi.
La donazione pose l’onere di Messe 12 annue, a carico del beneficio parrocchiale di S. Martino in Montefortino, a suffragio dei defunti del Sig. Conte Francesco Emiliani, donatore del terreno.
I seguenti poderi passarono da S. Mamante a Montefortino:
- Stradello, Casetto
da S. Lucia delle Spianate a Montefortino:
- Villa Ugolina nuova, Villa Ugolina vecchia, S. Rocco, Fossa vecchia, Fossa nuova, Fossanova, Torre Ugolina
da Urbiano a Montefortino:
- Baccanello, Casa Bonifica, Cà del Rio, Casabianca, Castelluccio, Guadagnina, Molino, Rondinina, Torre, Villanova
da Pietramora a Montefortino:
- Montusco, Montusco nuovo
Gli altri poderi già appartenenti alla parrocchia di Montefortino erano:
- Palazzo Montefortino, Bottega, Pantera, Casera nuova, Casera vecchia, Bosca nuova, Bosca, Francesca, Accarisi, Collina, Morattina, Cà dei Fucci e Camporotondo.
L’arciprete Don Giuseppe Rotondi, parroco dal 1940 al 1963, poi cappellano nell’Istituto di S. Umiltà a Faenza, condivise con il suo popolo le difficoltà della guerra e fu testimone del fatto che le bombe distrussero due opere d’arte di considerevole valore, una tela rappresentante S. Martino e una piccola tavola in legno rappresentante la B.V delle Grazie, che a S. Martino in Montefortino riscuoteva sempre grande venerazione.
L’edificio attuale fu ideato dall’Ing. Dante Fornoni, bergamasco, con mattoni a vista.
Il lavoro fu eseguito dalla Cooperativa Muratori di Granarolo Faentino, le due campane furono fuse nel 1950 dalla ditta Francesco de Poli di Vittorio Veneto.
Misurava m. 38 X m.12, con soffitto a volta, a croce romana, aveva tre Altari.
L’Altare Maggiore in marmo aveva in una nicchia la statua di S. Martino, opera del faentino Dalmonte, a destra entrando un altro Altare in marmo dedicato al Sacro Cuore di Gesù, con sopra una tela, a sinistra entrando un altro Altare in marmo dedicato alla B.V delle Grazie, con sopra una tela.
Nella catalogazione degli arredi sacri di Montefortino del 1931, redatto da Antonio Corbara per la Sovrintendenza dei beni culturali e presente nella biblioteca di Faenza, si trova la schedatura delle opere più importanti di proprietà della suddetta chiesa, perdute nel 1944 causa bombardamento:

  • tavola di legno, arcuata nella parte superiore, dipinta su fondo di oro pallido con la mezza figura della B.V, che tiene in braccio il Bambino. Da ambo i lati della tavola stanno due figure di angeli in adorazione. Opera senese della metà del XV secolo, attribuita al pittore Sano di Pietro (1444/1481), sino a pochi anni fa era trascurata e quasi invisibile entro una teca che la ricopriva. E’ contenuta in una semplice cornice e si trova su una mensola appesa al lato sinistro del presbiterio. Alta cm 66 e larga cm 47. Non ha subito restauri, né ritocchi. E’ assai malandata, la superficie è screpolata e il legno tarlato. Opera della metà del XV secolo, l’attribuzione si basa unicamente su confronti stilistici. Descritta dal Conte Luigi Zauli Naldi nella rivista “Il III centenario della Madonna del Monticino – Brisighella – 1923 – n° 1 gennaio con riproduzione”.
  • pala d’altare, dipinta ad olio su tela, con la figura intera in piedi di S. Martino, titolare della Chiesa, di autore ignoto di scuola locale del secolo XVII, con semplice cornice di legno. Si trovava collocata nell’ antica chiesa per la quale fu probabilmente eseguita, fu poi sostituita con una statua di stucco. Era alta m. 1.30 e larga cm. 90. Era discretamente conservata, il colore abbastanza ben mantenuto e la tela integra. Non recava firma o iscrizione
  • pala d’altare, dipinta ad olio su tela, con la figura inginocchiata di un santo vestito di abiti sacerdotali, S. Filippo Neri, con il viso rivolto al cielo e le braccia aperte in basso in atto di invocazione, di autore ignoto di scuola locale di fine secolo XVII, già collocata nell’antica chiesa per la quale fu probabilmente eseguita, fu appesa su uno dei pianerottoli della scala. Era alta m. 1.32 e larga cm. 94. Era notevolmente annerita, con uno strappo in corrispondenza della mano destra del santo
  • piccola acquasantiera in terracotta maiolicata con decorazione a monocromo azzurro, dietro la vaschetta semicircolare si elevava una spalliera terminante a frontone triangolare che recava entro un ovale la rappresentazione del battesimo sulle rive del Giordano, il resto dell’opera era ornato con decorazioni fogliame, di autore ignoto, attribuita a fabbrica faentina circa secolo XVIII, si ignorava la provenienza, era murata a lato della porta che dall’antica chiesa conduceva all’abitazione. Era alta cm. 38 e larga cm. 19. Era abbastanza bene conservata e perfettamente integra, lo smalto presentava le fini screpolature comuni nelle maioliche antiche
  • 4 reliquiari eseguiti in sottile lamina di ottone applicata poi su uno scheletro di legno, dal disegno di stile barocco, tutto a volute ed assolutamente identico per tutti, si desumeva che probabilmente i reliquiari furono fatti su stampo, di autore ignoto, attribuiti al secolo XVIII, sulla base di ognuno di essi entro un piccolo ovale vi era questa iscrizione – BENFIVM SS. CORPTS XPTI – Di questi oggetti si ignoravano le vicende e la provenienza, si custodivano in sagrestia. Erano alti cm. 55 e larghi alla base cm. 24, abbastanza ben conservati, contenevano le reliquie di S. Aurelia, S. Clemente, S. Modesto, S. Giustina

Altri arredi sacri scampati al bombardamento del 1944 e schedati nel fondo Corbara negli anni 1931, 1958, 1968, 1972 furono:

  • calice di rame sbalzato e dorato con largo piede diviso in otto lobi decorati con ornati di fogliame e da piccole teste frontali classicheggianti a rilievo, nel pomo dello stelo sporgevano tre bottoni argentei a faccia piena su cui era inciso il monogramma – IHS – . La coppa era decorata a sottili costolature, di autore ignoto, si poteva attribuire approssimativamente al secolo XV o forse prima per le forme spiccatamente gotiche del disegno. In due cerchietti argentei opposti sul piede era inciso, su di uno – AVE – , sull’altro – MARIA
  • Si ignoravano le vicende e la provenienza dell’oggetto, era conservato nell’abitazione del parroco. Era alto cm. 20 e il diametro del piede era di cm. 14. In origine il calice era argentato, ma poi fu restaurato e inopportunamente dorato presso una ditta di Milano, esisteva ancora nel 1958 nella nuova chiesa ricostruita, in seguito nel 1976 circa fu portato alla parrocchiale di S. Lucia delle Spianate. Nella revisione della schedatura del 1968 il calice fu attribuito all’orefice Giorgio Dall’Orecia, che aveva firmato anche quello della vicina chiesa di Converselle nel 1544
  • pace, oggetto di devozione usata per i matrimoni, eseguita a cesello in una piastra di bronzo. Era a forma di tempietto con due pilastrini corinzi scannellati che sostenevano un frontone triangolare entro cui era inclusa una testa di cherubino. Nel campo vi era la rappresentazione a bassorilievo di Cristo sceso dalla Croce, sostenuto dalla B.V e da S. Giovanni Evangelista, opera di autore ignoto, dallo stile del disegno attribuibile probabilmente alla fine del secolo XVI, perfettamente conservata fra gli arredi sacri in sagrestia. Era alta cm. 17 e larga cm. 12, esisteva ancora nel 1958, non aveva subito patinature
  • piviale ricamato a broccato su drappo di seta bianca, i ricami adornanti specialmente il bordo o stolone rappresentavano foglie e fiori di varia forma e colore, intessuti in gran parte con filo metallico, il resto del drappo portava fiorellini e piccoli trifogli, di autore ignoto, attribuito approssimativamente al secolo XVII o XVIII, conservato in uno degli armadi dell’abitazione, alto m. 1.42, logoro e tagliuzzato in varie parti, ma i ricami erano ben conservati, esisteva ancora nel 1968

Nel 1972 e nel 1978 ci furono dei furti, in particolare quello del 29 agosto 1978: il bottino si aggirò a circa lire 800000, i ladri rubarono due confessionali, ventinove candelieri in metallo, un crocifisso e un leggio, entrambi in legno dorato, una pisside, un ostensorio ed altri oggetti. I due confessionali furono abbandonati lungo il tragitto, uno a S. Mamante e l’altro a Villagrappa, ma qualcuno vide i ladri ed avvertì i carabinieri, che riuscirono a recuperarli entrambi e li restituirono all’economo spirituale della chiesa di Montefortino, Don Antonio Baldassarri, rettore di S. Biagio.
La chiesa fu alienata con il consenso del Vescovo di Faenza Monsignore Francesco Tarcisio Bertozzi nel 1994 riducendola ad uso profano.

Per gentile concessione della signora Nadia Pini, già parrocchiana di Montefortino.

Usi e costumi della campagna faentina nell’inchiesta napoleonica del 1811

Il Viceprefetto Dionigi Strocchi, in data 9 agosto 1811 comunica al Podestà di Faenza che la Direzione Generale della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia ama completare una raccolta di notizie sui costumi de’ popoli componenti il Regno d’Italia:

1.Sulle diverse costumanze e pregiudizi che si mantengono nelle campagne di cotesto distretto in occasione di nascite, di nozze, di morti e di tumulazioni, come pure in tempi di feste, al principiare e al finire dell’anno, al Natale, al Carnevale, Quadragesima, settimana santa e Pasqua.

2.Sulle pratiche che si tengono nelle diverse stagioni, anche per ciò che riguarda le opere agrarie e sulle dimostrazioni di allegrezza.

3.Finalmente sui caratteri particolari e modi che distinguono i dialetti degli abitanti dei diversi comuni di cotesto distretto.

Il podestà di Faenza Lodovico Laderchi invia le seguenti notizie raccolte (tramite i parroci).

Notizie raccolte sui diversi usi della Campagna nelle Parrocchie di S. Lucia nelle Spianate, Oriolo, S. Biagio e S. Mamante. [Secondo Leonida Costa le notizie sono raccolte dal parroco di S. Lusa dell’epoca don Domenico Cavina]

In occasione di Nascita passati alcuni giorni dal Parto i Parenti della Sposa, ed anche dello Sposo si portano alla Casa della medesima e quivi fatte le debite congratulazioni, e presentati alcuni regali alla medesima viene dato un pranzo secondo la propria possibilità il quale viene chiamato la Zuppa, e in tale occasione nessun pregiudizio rilevasi.

In occasione di Nozze convenute le parti, e fissate le medesime, viene stabilito un giorno coll’intervento dello Sposo, del Mezano, od altro Parente, e quivi si conferma quanto si è fissato sul futuro Matrimonio unitamente ad una colazione, o cena, e questo atto viene chiamato tocca mano.

Nel giorno poi delle Nozze viene imbandito un pranzo rurale coll’intervento dei proprii parenti, e nel medesimo nessuna superstizione si osserva, ma il tutto con quella allegrezza, che è compagna in simile occasione non però straordinaria, ne clamorosa, ne con canti, ne con suoni eccettuati pochissimi casi. La Sposa poi viene accompagnata da alcuni Parenti alla Casa dello Sposo, la quale passate due, o tre Settimane ritorna alla Casa paterna, e questa venuta alla Casa paterna viene chiamato ritornello.

In occasione di Morti prima che il Cadavero sia levato dalla Casa i Parenti, ed anche gl’amici con una piccola candela accesa viene segnato il Cadavero in forma di Croce sulla faccia, o sul corpo, e trasportato che è alla Chiesa a tutti gli astanti unitamente ai parenti nel momento, che si celebrano gl’Ufizii di Requie, e si fanno le esequie vengono consegnate alcune piccole candele, che si tengono accese in tutto il tempo della funebre funzione, terminata la quale i parenti accompagnano il Cadavero al Cimitero, e i più prossimi congiunti, eccettuati alcuni casi, danno sepoltura al Cadavero.

I Parenti poi del morto ritornano alla Casa del medesimo e tra i singulti e pianti sul estinto loro parente sono invitati prima di partire o ad una colazione, o pranzo, e la parte dei cibi, che doveva toccare al morto viene distribuita ad un povero con altre elemosine secondo la possibilità degli eredi.

In tempo di Feste eccettuati gl’inviti scambievoli tra parenti ed amici non accade cosa straordinaria ne al principiare dell’anno ne al terminare del medesimo, ne al Natale, nella Quadragesima, nella Settimana Santa, nella Pasqua.

In queste parti nessuna pratica si tiene riguardante le stagioni, eccettuato l’uso dei primi tre giorni del Mese di Marzo, nei quali sull’imbrunire della sera si bruciano alcuni fassi di legna nei campi, e viene chiamato questo uso Lume a Marzo.

Addizioni alle precedenti notizie [attribuite da L. Costa al segretario comunale Carlo Villa]

Articolo Nozze. Stabilito il trattato di nozze, s’imbandisce una tavola fragrante, e tolta la mensa si tirano alcuni colpi di archibugio in segno di allegrezza. Questo costume ha fatto tregua per l’eccessivo prezzo della polvere. Il giorno del tocca mano è la domenica, in cui si fa l’ultima pubblicazione in chiesa del matrimonio da convenirsi. Dicesi tocca mano, perché il mezzano del trattato nuziale giunti i parenti, e lo sposo alla casa della sposa, e lei che trovasi alla porta di casa a riceverli li presenta ad uno ad uno cominciando dallo sposo, e in seguito sempre i parenti più prossimi unendo destra a destra significa esponga alla sposa i diversi gradi di parentela dei medesimi.

Si noti, che i contadini non vogliono sposarsi nel Maggio, e che fra i giorni della settimana scelgono comunemente di giovedì, o di sabato, non mai di venerdì; sempre poi si conducono a casa la sposa nella domenica.

Articolo funerali. Si aggiunga la pratica di gettare nella fossa sepolcrale il resto delle candele loro dispensate  nella Chiesa allorché accompagnano al sepolcro il cadavero.

Articolo Stagioni. E’ pratica ridicola di alcuni contadini di esporre all’aria la catena di ferro che tengono sul focolare pretendendo di calmare così le tempeste.

E’ poi ridicola l’usanza di apporre ne’ ceci seminati delle verdi frasche nel Maggio per preservarli dalle nebbie, e da certe ferali ruggiade.

Praticano alcuni al Natale, e pure sovente nel giorno di S. Stefano di segnare i cani con un ferro rovente perché non arrabbiano.

Alli 2 febbr. Festa della candelora, osano alcuni segnarsi le mani, e le braccia colle piccole candele loro dispensate quel giorno nella sacra cerimonia, tosto che arrivano a casa, e prima di aver mangiato. Ignoro però la ragion di tal pratica.

(Archivio di Stato Faenza, Archivio Comunale moderno, Istruzione, b.45, 1811)

La ristrutturazione della Chiesa di Santa Lucia

Da alcuni anni è iniziato l'iter burocratico per la ristrutturazione del Presbiterio e il rifacimento di gran parte dell'intonaco esterno della Chiesa, aggredito nel corso degli anni dall'umidità. L'opera è stata affidata all'Architetto professor Pier Giorgio Gualdrini. Il progetto ha subito l'esame della Commissione diocesana di arte sacra, poi della Sopraintendenza ai monumenti di Ravenna, poi di quella di Bologna e infine la concessione comunale. I lavori hanno avuto inizio nel mese di ottobre 2011 con il presbiterio. L'opera muraria è stata affidata alla ditta Visani Domenico; i lavori in marmo alla ditta Marmo edile SAM snc di Faenza, i lavori di riscaldamento alla ditta Fabbri Gabriele, su progetto dello studio tecnico Tecnoterm di Conti Pier Paolo di Russi, l'impianto luce alla ditta Dalle Fabbriche Tarcisio. Dopo il Presbiterio la Sacrestia con nuovo pavimento e nuova rampa di scale di accesso. Mons Vescovo ha donato un crocefisso in ceramica, opera dell'artista Biancini. E' arrivato in pezzi da assemblare. Il ceramista Russo Maurizio con pazienza ha trovato gli incastri e il modo di reggere l'insieme. E' stato infatti posto nell'abside. Lo stesso ceramista ha realizzato la porta del tabernacolo su disegno dell'architetto Gualdrini.

Visto l'ottimo lavoro della ditta Marmo edile Sam, essendo venuti a conoscenza che la loro attività comprendeva anche la possibilità di eseguire risanamento di intonaci e tinteggiatura, è stata affidata alla stessa ditta anche il risanamento e la tinteggiatura esterna delle parti più deteriorate della Chiesa e dei fabbricati attigui. Questi ultimi lavori hanno avuto inizio nel mese di aprile 2012 e sono terminati nel mese di luglio. I lavori sono stati finanziati dal Parroco a ricordo del quarantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale; ha partecipato con un contributo anche il cugino del Parroco don Tommaso Dalle Fabbriche, attuale Parroco di Pieve Ponte e della Pace. L'appalto non comprendeva la ristrutturazione degli scalini e della rampa per handicap di accesso alla Chiesa che alcuni Parrocchiani hanno finanziato. Si è anche colta l'occasione di ripulire con idropulitrice l'esterno della Chiesa nella parte risanata a metà anni novanta, annerita nel tempo.